La follia ritrovata. Senso e realtà dell’esperienza psicanalitica di G. Sias

Presentazione del libro con l’autore, G. Sias, e interventi introduttivi di Mario Ajazzi Mancini e Simone Berti

“Intendevo scrivere della follia, e non farne un trattato teorico, volendo mostrare come essa non sia altro che la messa in campo del desiderio, la follia che viene dalla verità di un desiderio rimosso, che da questa è prodotta affinché il desiderio stesso abbia possibilità di esistenza concreta e materiale nell’atto che lo fa esistere per ciascuno  e nei confronti dell’oggetto cui si rivolge, introducendo una realtà che resta incomprensibile a chi ne è il sub-iectum il quale, nondimeno, non può sottrarsi alla propria follia e in cui le pretese della volontà mostrano tutte la loro inconsistenza ed evanescenza costringendo il nostro soggetto a restarne in balìa oltre ogni sua intenzione e consapevolezza…”

La follia ritrovata di Giovanni Sias – o forse, come proverò a dire, la follia re-incontrata/re-indovinata – è un libro che cerca di recuperare la follia dai pregiudizi psichiatrici della nostra epoca, e non solo, al fine di mostrarne la fecondità operativa in merito alla questione del sapere di sé e del mondo. L’erranza e il tragico ne sono le declinazioni principali; le vorrei ricondurre alla formula deleuziana del divenire immanente: una produzione in sé, non di qualcosa, il continuo legarsi/slegarsi della vita, Eros e Thanatos in quanto impasto/disimpasto pulsionale, per semplificare.La formula, credo, dice di una vita tragicamente invivibile – se non siamo dei santi; come scrive Lacan nel secondo Seminario: «La vita è questo – una deviazione, un’ostinata deviazione, per se stessa caduca e sprovvista di senso… La vita non vuole guarire. […] La vita non pensa che a morire»”.